UNA SERA D’ ESTATE….

 

FESTA DELLO SPORT ARCISPAZIO PIUMAZZO 

“MAURI ROMPI...MA SEI BRAVA”
QUESTE LE PAROLE DI GABRI DOPO "GABRIELLA"

L' APPREZZAMENTO IN ASSOLUTO PIU' GRADITO.

QUALCHE SERA DOPO MI RECO A PIUMAZZO CON UNA AMICA E ALL'INGRESSO DEL PARCHEGGIO LEI MI DICE "MA C'E' IL KIWI APERTO?"
"NO" DICO IO.... "NO E' LA FESTA DELLO SPORT"
IL PARCHEGGIO ERA PIENO A STRATI , PARCHEGGIAMO LONTANISSIMO .
UNA VOLTA ARRIVATE CI ACCOGLIE UNA ATMOSFERA MERAVIGLIOSA, ALLEGRIA, MUSICA E L'AREA ESTERNA PIENA DI PERSONE, ALCUNI IN COSTUME, ALTRI CHE MANGIAVANO, BALLAVANO ....ERA LA CENA AMERICANA.
UN MANIPOLO DI GIOVANI, I GIOVANI DI ARCI, TRA I QUALI GABRI, AVEVANO ORGANIZZATO CON UN PO' DI HAMBURGER, PATATINE E BIRRA LA CENA AMERICANA CON UNA COREOGRAFIA DATA DA MUSICA COUNTRY E BALLI AMERICANI, MOTO, MACCHINE ... E BALLE DI PAGLIA!!
GLI SCIAGURATI IN COSTUME COUNTRY SERVONO AI TAVOLI.
C'E' ALLEGRIA PAZZIA E TANTA VOGLIA DI FARE.
IO RIMANGO STUPITA E LA MIA AMICA PURE. DICE "MA DOVE SIAMO?"
"A PIUMAZZO" RISPONDO IO...
IL PRESIDENTE EMOZIONATO PER IL SUCCESSO OTTENUTO DICE CHE I RAGAZZI SONO STATI DEI GRANDI  IO  CON IL MIO GRUPPO "EULOGHIA" E GABRY CON LA SUA FESTA AMERICANA ABBIAMO DATO UN ELEVATO SPESSORE ALLA LORO FESTA.

CON L'ENERGIA E LA VOGLIA DI FARE POSSIAMO CONTAGGIARE UN PAESE.

“…GABRY QUANTO ROMPI MA SEI BRAVO E SEI SOLO UN GIOVANE UOMO...CONTINUA COSI'…”

MI SCUSO PER IL RITARDO SULLA PUBBLICAZIONE MA NON SONO AGILMENTE TECNOLOGICA ERA RIMASTO NELLE BOZZE.

GRAZIE AL MANIPOLO DI SCIAGURATI.

MAURY B.

UNA STORIA FUORI DALLA STORIA

....SALVE ....
E' UN PO' CHE MANCO, 
ORA ECCOMI A RACCONTARE UNA STORIA...


E' LA STORIA DI DUE DONNE
                          DI UNA MADRE
                          DI UNA FIGLIA
                          DI  AMORE


                                           DI  GABRIELLA DEGLI ESPOSTI


UNA PARTIGIANA, E' VERO, MA NON PARLO DI QUELLO SE NON MARGINALMENTE.


E IO CHE C'ENTRO IN TUTTO CIO'?


...UN BEL GIORNO UN AMICA MI DICE :
"LEGGI, MODIFICA CIO' CHE RITIENI, FINISCILO E  INTERPRETALO"
SIMONA, UNA DOMENICA D' INVERNO MI LEGGE LA STESURA DELLA BOZZA DI COPIONE. IO DI QUELLA STORIA NON NE SO NULLA O QUASI, MI RACCONTA DI COME E' ARTICOLATO IL LAVORO, LE PARTI RECITATE( ciò che avrei dovuto fare io) SAREBBERO STATE COMMENTATE  DA BALLI, FONDALI DI IMMAGINI E MUSICA. 
MI PIACE GIA' MOLTISSIMO...
CI SONO DUE MONOLOGHI GIA SCRITTI.
LI LEGGO.
...Come puoi farti lama lucida, in questo nero. Farti lama lucida, quasi gentile, farti così sottile da dischiudere tutte le mie clausure.
Ti sei fatta varco d’improvviso, tra le palpebre serrate, sui seni e sul mio ventre, su quella pelle tesa, senza riuscire ad ammansire l’ultimo scudo, senza riuscire, il sangue, ad addomesticare.
Tu, lama, ospite inatteso, ospite osteggiato, dall’incedere sicuro, dall’incidere preciso, e inesorabile...

COME UNA SPADA QUESTE PAROLE MI ENTRANO DENTRO ...CORRONO DENTRO TALMENTE FORTE CHE SENTO DOLORE  SULLA MIA PELLE ,  TERRORE, NON PASSA, PER PARECCHIO TEMPO RIMANGO  IN QUEL TEMPO. 
LEI.

ACCETTO 
COMINCIO SUBITO
SAVINA,(figlia di Gabriella) MI VUOLE CONOSCERE, E' UN BELLISSIMO INCONTRO .
MI REGALA LE SUE MEMORIE E MI CHIEDE DI ATTENERMI AI FATTI ,SI DICONO TANTE COSE PIU' O MENO VERE,  SAVINA C'ERA...
LEGGO SCRIVO ADATTO.
RILEGGO RISCRIVO RIADATTO.
FINITO.
E' TUTTO PRONTO, IO E SIMONA ANDIAMO A CASA DI SAVINA CON LA DI LEI FIGLIA, PATTI, LEGGO CIO' CHE HO SCRITTO, 5 MONOLOGHI, CHE RECITO E TENTO DI INTERPRETARE.
SAVINA PIANGE COME UNA BAMBINA.
HO RECITATO DAVANTI A LEI GLI ULTIMI GIORNI DI VITA DI SUA MADRE.
E' STATA UNA FORTISSIMA EMOZIONE, SAVINA MI DICE  
                                                              G R A Z I E,   C O N T I N U A
 ...E CON QUANTO SEGUE HO CONCLUSO IL NARRATO  DI QUEST' OPERA PRIMA:
...mi guardai attorno, guardai il pavimento.
Non c'era nulla.
Ma sulle pareti c'erano macchie. Tante.
Mi avvicinai.
Erano macchie di sangue. Era il sangue di mia madre.
Avrei voluto urlare ma avvicinai le mani a quelle macchie accarezzandole, perchè era il suo sangue.
Toccandole mi sembrava emanassero calore.
Avrei voluto spaccare quel muro. Portarmelo a casa.
Invece scoppiai in un pianto dirotto, cercando di abbracciare quella parete che aveva udito i suoi lamenti, le sue urla di dolore, le urla di mia madre.
Baciai quelle pietre avvicinandomi ad esse il più possibile. Ero sola, lì, in quella camera che per me era il suo eroismo.
Appoggiai il viso e tutto il corpo su quel muro.
Su quel sangue.
E con le braccia allargate, come in un eterno abbraccio, piansi le lacrime di una vita.
Non so quanto tempo rimasi tra quelle mura ma so che avrei voluto rimanere lì per sempre.
Era il 1946. Avevo 14 anni.
E Gabriella era mia madre.

AVEVO BISOGNO DI UN ALTRA NARRATRICE  PER LEI,GABRIELLA...
CINZIA COLLABORA CON ME DA TEMPO, E' PERFETTA, LA PARTE E' DIFFICILE, CRIPTICA PERFETTA PER LEI.
POI LE MUSICHE A COMMENTO SULLE PAROLE.
NON HO DUBBI
I MODENA CITY R.     
VOGLIO IL FLAUTO, OVVERO FRANCO D' ANIELLO.
UNA NOTTE SU F.B. L' INCONTRO, PARLO PARLO, SPIEGO SPIEGO, LUI ACCETTA ACCETTA.....

IL CORPO DI BALLO,  ANGELI CHE CON MOVENZE PERFETTE ESALTANO LE PAROLE, SIMONA.BARBARA,DEBORA E GAGRIELE HANNO DATO IL COLORE AL NERO DI QUESTA TRISTE STORIA.

TUTTI INSIEME SIAMO " ASSOCIAZIONE  E U L O G H I A".

IL 22 APRILE 2012 TEATRO DADA'
IL 17 GIUGNO 2012 GIARDINO ARCISPAZIO PIUMAZZO.

RINGRAZIO "I RAGAZZI"DI ARCI
                           EULOGHIA
                           IL SETTORE CULTURA
E TUTTI COLORO CHE MI HANNO AFFIANCATA IN QUESTA STORIA FUORI DALLA STORIA DOVE SI C'ERA UN IDEALE DA DIFENDERE MA SOPRATTUTTO IL SACRIFICIO DI UNA DONNA DI UNA MADRE PER LA SUA FAMIGLIA.




                                                                          Mauri b
Da Michelle:... E' Lei!
Un giorno normale pare, ma strano giorno, né vino, ne whisky, né sole, né vittorie. Nemmeno il pantagruelico pasto che dure paure ammolla e pensieri addolcisce, eppure carezzevole giorno. Cos’è mai l’andare soave dell’ore, il tempo né tiranno né tormento, il luogo sempre giusto, le voci che giungono benevole, i mali che ammiccano riscatto? Cos’è mai? E’ lei!
Davider

Le parole sciolte di Michelle


IL CONTROLLO
Conviene abituarsi a vivere senza amore. L'amore non esiste tra le bestie, così vere, così naturali. Come farebbero loro che non hanno psicologi, nè mail, ne internet, nè i surrogati che la nostra prudente mente crea? Anche le specie monogame lo sono per un motivi pratici. Gli inseparabili muoiono assieme solo per assuefazione alle abitudini, non per amore. Non illuderti, si vive anche senza illusioni, un tenue raggio di sole ogni tanto può bastare a scaldare il cuore. ….Forti non vuole dire ciechi, nemmeno vuole dire combattere ma vuole dire farsi bastare il poco, a volte il nulla. Non è vergognoso ma è nobile accontentarsi anzichè sbraitare al vento brandendo ridicole spade.

 
SOLO UN TELEVISORE
15.04: IL piccolo televisore 4/3 del soggiorno pigola metallico che c’è freddo e bassa pressione Porto la mia maglia termica ragno sport e il pullover di lana. Ho freddo.
Domani sarà bello e mi stenderò al sole, aspetterò affinchè il calore si incontri e si stemperi a metà pelle col freddo del dentro. Il vetro fragile e gelido gettato nell’acqua bollente si sbriciola prima di potersi scaldare, allora il freddo e il caldo non avranno più un senso. Poi il piccolo televisore 4/3 gracchierà l’alta pressione incipiente.

 
LA TRISTEZZA PER FORZA
Può venire l’amore e non si sa il perché, ma si può anche negare l’amore senza che ci sia un perché, magari solo un annichilimento troppo vissuto, un desiderio incosciente di punirsi e di sentirsi cullato dalla sofferenza, la necessità di cullarsi egoisticamente nelle proprie tesi su se stessi.
( Voglio questo vento e la pioggia sferzante, e qualcosa che mi faccia sentire altro rispetto ad una regola, ad un metodo, alle predizioni di un psicologo su me stessO, in modo che lo possa fregare e stupire, indurre a rivedersi le sue teorie. Voglio la scoperta di un’ansia e di una potenza inaspettata, la forza di un sentimento che so che esiste, che può esistere, e senza il quale resto preda della mente, dei filosofi , e non sono me stesso.
NON CERCO LA TRISTEZZA PER FORZA).

da pensieri sciolti di piccoli animali, Michelle e Willer
NINA E IL DUENDE
Una volta, la cantante andalusa Nina Pastora Pavòn, cupo genio ispanico, cantava in una tavernetta di Cadice. Giocava con la sua voce d'ombra, con la sua voce di stagno fuso, con la sua voce coperta di muschio, e se la intrecciava nella chioma o la bagnava nella manzanilla o la perdeva in intrichi oscuri e lontanissimi. Ma niente, era inutile, gli ascoltatori stavano zitti. Nina finì di cantare nel silenzio. Solo un uomo piccolino, con sarcasmo, disse:"Viva Parigi!" come a dire:"Qui non interessano le capacità,la tecnica, la maestria. Ci interessa un’altra cosa!”. Allora la Nina si alzò come folle, trangugiò d’un fiato un bicchiere di acquavite come fuoco, e si sedette a cantare senza voce, senza fiato, senza sfumature, con la gola riarsa…con il démone. Era riuscita a uccidere tutta l’impalcatura della canzone per cedere il passo a un duende furioso e rovente, amico dei venti carichi di sabbia, che induceva gli ascoltatori a stracciarsi le vesti. La Nina dovette squarciarsi la voce per gli ascoltatori che non chiedevano forme ma midollo di forme, musica pura con il corpo leggero per potersi liberare. Dovette privarsi di facoltà e sicurezze…abbandonarsi… E come cantò! Riuscì a far sentire e a far godere attraverso se stessa.
Michela Cogliandro
Nulla come lo scrivere può fare comprendere appieno il senso di una cosa, il peso o la leggerezza di un sentimento, la pregnanza di un’emozione o di uno stimolo mentale . Lo scrivere obbliga l’intuizione e la sensibilità a prendere maggiore coscienza di un linguaggio, della sua forza universale rafforzando anche la comprensione in chi scrive. Se questa tensione fosse in grado di produrre, poi, una condivisione più vasta di meditazioni oggi perse in una gazzarra mediatica ammiccante di suggestioni, ma intimamente superficiale, ci darebbe la fiducia che anche l’invadente “virtualità” odierna dell’informazione, del transito delle idee, della trasmissione delle emozioni possa, alfine, fortificare e non sminuire la valenza e l’apporto dello scrivere e della cultura anche con i nuovi vettori mediatici.
Propondo una sentita riflessione di Michela Cogliandro sull’opera della poetessa polacca WISLAWA ZSYMBORSKA recentemente deceduta.
Willer Comellini


Di Michela Cogliandro
RICORDANDO WISLAWA ZSYMBORSKA
L’ UOMO HA BISOGNO DI POESIA

Dateci un luogo, dateci dei fogli
e noi trasformeremo la carta in poesia.
La nuda carta bianca che profuma!

Non saremo più distratti e delusi,
prontamente infelici,
ma finalmente vivi
e carichi di segni!

La poesia trasforma il quotidiano in sublime. Mentre lo racconta lo rinnova, rendendolo universale.
Il poeta è poeta per un attimo e per tutta la vita. Ciò che dice dura per sempre e rilegge la storia comune, la storia di tutti gli uomini, la storia dell’inenarrabile minuto.
Wislawa Szymborska, poetessa polacca nata nel 1923 e scomparsa il primo Febbraio, fu insignita del premio Nobel (1996) perché trasformava con precisione il contesto storico-ambientale in frammenti di umana realtà.
Più che fare verso raccontava. Prendeva l’elemento e lo analizzava, quasi davanti ai tuoi occhi, usando il bisturi delle parole che incide nella narrazione.

Con uno sguardo mi ha resa più bella,
e io questa bellezza l'ho fatta mia.
Felice, ho inghiottito una stella.

Ho lasciato che mi immaginasse
a somiglianza del mio riflesso
nei suoi occhi. Io ballo, io ballo
nel battito di ali improvvise.

Il tavolo è tavolo, il vino è vino
nel bicchiere che è un bicchiere
e sta lì dritto sul tavolo.
Io invece sono immaginaria,
incredibilmente immaginaria,
immaginaria fino al midollo.
Gli parlo di tutto ciò che vuole:
delle formiche morenti d'amore
sotto la costellazione del soffione.
Gli giuro che una rosa bianca,
se viene spruzzata di vino, canta.
Mi metto a ridere, inclino il capo
con prudenza, come per controllare
un'invenzione. E ballo, ballo
nella pelle stupita, nell'abbraccio
che mi crea.
Eva dalla costola, Venere dall'onda,
Minerva dalla testa di Giove
erano più reali.
Quando lui non mi guarda,
cerco la mia immagine
sul muro. E vedo solo
un chiodo, senza il quadro. - Accanto a un bicchiere di vino -

Per lei e con lei la poesia poteva essere un elemento visivamente riscontrabile, un elemento da scegliere o da scartare : “Ad alcuni piace la pasta in brodo, ad alcuni una vecchia sciarpa, i complimenti, il colore azzurro… ad altri piace la poesia”. Ma quando quell’elemento te lo metteva davanti e te lo descriveva con rigorosa precisione, senza che niente sfuggisse e senza che niente diventasse superfluo, allora capivi che non ne potevi fare più a meno. Te lo ritrovavi come tuo, sperimentato e letto, cosicché la suggestione era la tua verità, e il turbamento l’inevitabile emozione per il tuo accaduto. Poche parole a volte ma incisive e nette, ineluttabili:

… Si sono incrociati come estranei
senza un gesto o una parola,
lei diretta al negozio
lui alla sua auto.
Forse smarriti
o distratti
o immemori
di essersi per un breve attimo,
amati per sempre… .- Prospettiva -


Sono entrambi convinti
che un sentimento improvviso li unì.
Non conoscendosi prima, credono
che non sia mai successo nulla fra loro.
Ma che ne pensano le strade, le scale, i corridoi
dove da tempo potevano incrociarsi?

Vorrei chiedere loro
se non ricordano -
una volta un faccia a faccia
forse in una porta girevole?
Uno "scusi" nella ressa?
Un “ha sbagliato numero” nella cornetta.

Li stupirebbe molto sapere
che già da parecchio
il caso stava giocando con loro.

Non ancora del tutto pronto
a mutarsi per loro in destino,
li avvicinava, li allontanava,
gli tagliava la strada
e soffocando un risolino
si scansava con un salto.

Vi furono segni, segnali,
che importa se indecifrabili.
Forse tre anni fa
o il martedì scorso
una fogliolina volò via
da una spalla all'altra?
Qualcosa fu perduto e qualcosa raccolto.
Chissà, era forse la palla
tra i cespugli dell'infanzia?

Vi furono maniglie e campanelli
in cui anzitempo
un tocco si posava sopra un tocco.
Valigie accostate nel deposito bagagli.
Una notte, forse, lo stesso sogno,
subito confuso al risveglio.

Ogni inizio infatti
è solo un seguito
e il libro degli eventi
è sempre aperto a metà. - Amore a prima vista -

La poesia basta, da sola, a fa conoscere non solo chi la scrive, ma anche chi la legge, perché già di per sé, il bisogno stesso di poesia è significativo ed identificativo.

… Non devo attendere una notte serena,
né alzare la testa,
per osservare il cielo.
Il cielo l'ho dietro le spalle,
sottobraccio e sulle palpebre.
Il cielo mi avvolge ermeticamente
e mi solleva da sotto.

Persino le montagne più alte
non sono più vicino al cielo
delle valli più fonde.

Qualsiasi cosa che cada in un abisso,
cade di cielo in cielo.

Divoro il cielo e lo secerno.
Sono una trappola intrappolata,
un abitante abitato,
un abbraccio abbracciato,
una domanda in risposta a una domanda.

Dividendo il Cielo dalla terra
non si pensa in modo appropriato
a questa totalità.
E' solo un modo per vivere
presso un indirizzo più esatto,
più facile da trovare,
se dovessero cercarmi.
I miei segni particolari
sono l'estasi e la disperazione. - Il cielo -



Non ce l’ho con la primavera
perché è tornata.

Non mi fa soffrire
che gli isolotti di ontani sulle acque
abbiano di nuovo con che stormire.

Non ho rancore
contro la vista per la vista
sulla baia abbacinata dal sole.

Riesco perfino ad immaginare
che degli altri, non noi
siedano in questo momento
sul tronco rovesciato d’una betulla.

Rispetto il loro diritto
a sussurrare, ridere
e tacere felici.

Suppongo perfino
che li unisca l’amore
e che lui stringa lei
con il suo braccio vivo.

Qualche giovane ala
fruscia nei giuncheti.
Auguro loro sinceramente
di sentirla.

Non esigo alcun cambiamento
dalle onde vicine alla riva,
ora leste, ora pigre
e non a me obbedienti.

Non pretendo nulla
dalle acque fonde accanto al bosco,
ora color smeraldo,
ora color zaffiro
ora nere.

Una cosa non accetto.
Il mio ritorno là.
Il privilegio della presenza-
ci rinuncio.

Ti sono sopravvissuta solo
e soltanto quanto basta
per pensare da lontano. - Addio a una visita -




Sono un tranquillante.
Agisco in casa.
Funziono in ufficio,
affronto gli esami,
mi presento all'udienza,
incollo con cura le tazze rotte -
devi solo prendermi,
farmi sciogliere sotto la lingua,
devi solo mandarmi giù
con un sorso d'acqua.

So come trattare l'infelicità,
come sopportare una cattiva notizia,
ridurre l'ingiustizia,
rischiarare l'assenza di Dio,
scegliere un bel cappellino da lutto.
Che cosa aspetti -
fidati della pietà chimica.

Sei ancora giovane,
dovresti sistemarti in qualche modo.
Chi ha detto
che la vita va vissuta con coraggio?

Consegnami il tuo abisso -
lo imbottirò di sonno. - Sono un tranquillante -



Nulla è cambiato.
Tranne forse i modi, le cerimonie, le danze.
Il gesto delle mani che proteggono il capo
è rimasto lo stesso.
Il corpo si torce, si dimena e si divincola,
fiaccato cade, raggomitola le ginocchia,
illividisce, si gonfia, sbava e sanguina.

Nulla è cambiato.
Tranne il corso dei fiumi,
la linea dei boschi, del litorale, di deserti e ghiacciai.
Tra questi paesaggi l'anima vaga,
sparisce, ritorna, si avvicina, si allontana,
a se stessa estranea, inafferrabile,
ora certa, ora incerta della propria esistenza,
mentre il corpo c'è, c'è, c'è
e non trova riparo.- Torture -

Nel mondo poetico di W.Zsymborska, tra sfumature concettuali e sottili riflessioni, c’è uno spazio dedicato alla cipolla che viene descritta nella sua dimensione tutt’altra che umana eppure più perfetta.

La cipolla
La cipolla è un’altra cosa.
Interiora non ne ha.
Completamente cipolla
Fino alla cipollità.
Cipolluta di fuori,
cipollosa fino al cuore,
potrebbe guardarsi dentro
senza provare timore.
In noi ignoto e selve
di pelle appena coperti,
interni d’inferno,
violenta anatomia,
ma nella cipolla - cipolla,
non visceri ritorti.
Lei più e più volte nuda,
fin nel fondo e così via.
Coerente è la cipolla,
riuscita è la cipolla.
Nell’una ecco sta l’altra,
nella maggiore la minore,
nella seguente la successiva,
cioè la terza e la quarta.
Una centripeta fuga.
Un’eco in coro composta.
La cipolla, d’accordo:
il più bel ventre del mondo.
A propria lode di aureole
da sé si avvolge in tondo.
In noi – grasso, nervi, vene,
muchi e secrezione.
E a noi resta negata
l’idiozia della perfezione.


L’intenzione dei versi è quella di far emergere e prevalere la circolarità perfetta della cipolla, identica nel nucleo come nella circonferenza e negli strati che si succedono via via, “un’eco in coro composta”,una perfezione che fa invidia all’uomo che deve sempre affannarsi a ricrearla e a mantenerla. La cipolla non si ossida col tempo nella sua essenzialità perfetta, non cede agli eventi. La cipolla è tutta cipolla, non ha sangue, nervi, muscoli, pensieri, ha solo la sua cipollosità che non trema, non si turba, non sanguina e non ferisce. Dall’inizio è perfetta, e fino alla fine non avrà dubbi d’essere cipolla, non come l’uomo che oscilla sempre tra un’affermazione umana e un dubbio divino, si da non essere ne uomo né Dio. Gli fa da maestra la cipolla che, a costo di essere divorata, non tradisce la sua identità e...rimane così, come dall’inizio doveva essere: cipolla e cipollosità. Quando l’uomo si riconoscerà ed affermerà di essere una piccola parte divina, destinata ad essere interamente divina se solo comprenderà che la sua umanità è trasversale, non definitiva?
W. Szymborska aveva intuito il progetto degli eventi, quel tutto accaduto prima che accada e questa consapevolezza la fa sembrare distante da ciò che con la penna descrive. Sembra quasi non ci sia il suo cuore presente, ma l’evento successo e inevitabile, di cui solo si deve prendere atto. Ella aveva raggiunto la centralità “cipollina”, aveva all’interno lo stesso perfetto equilibrio che vedevasi all’esterno, l’equilibrio che come tale è freddo perché ha affrontato le emozioni e le ha collocate, le vive ancora a volte ma senza discostarsi da ciò che conta: la sua centralità, quel punto dove l’umanità diventa divina, cioè senza più esasperate angosce, perché senza più esasperate attese. Accade solo ciò che deve accadere, e se va descritto con tanta chiarezza, con tanto dato di fatto, è perché nell’equilibrio interno ed esterno la visione è chiara ed il racconto è freddo! L’anima è fuori dall’emozione, “gioia e tristezza non sono per lei due sentimenti diversi;/è presente accanto a noi solo quando essi sono uniti”.(1)


La poesia di W. Zsymborska è semplice, colloquiale, anche se a volte scivola e diventa insidiosa, tutt’altro che tranquilla. Nasce dalla più comune delle parole che con lei si racconta in modo nuovo, come se mai avesse avuto un senso prima. Sembra che a volte il verso ti guardi e ti sorrida, facendoti andare più lontano, facendoti sentire più profondo. Ciò che vuole ricreare è lo stupore, salvare le cose piccole, i dettagli, le eccezioni; scoprire e far sentire la meraviglia del semplice, del sempre visibile ma sempre nuovo, perché niente è ovvio e immobile. “Si tratta di vedere i miracoli, soprattutto quelli alla buona , in base ai quali le mucche sono mucche e la frutta matura nel frutteto.”(2) Così quello che prima ti è sfuggito te lo ritrovi all’improvviso con tutta una sua emozione, quasi un miracolo per gli occhi e per il cuore.
”La nostra esistenza è un Benvenuto e Addio in un solo sguardo” e “Tutto è nostro e nulla ci appartiene”. Ci salva la meraviglia e la bellezza che va oltre la fine della vita stessa”. (3)

(1) - dalla poesia Qualcosa sull’anima.
(2), (3) - dal discorso di W. Zsymborska in occasione del Premio Nobel.

Michela Cogliandro

GIORNATA DELLA MEMORIA

In occasione della giornata della memoria, concomitante con l'anniversario della liberazione di Auschwitz /Auschwitz II (Birkenau), pubblichiamo un contenuto di Michela Cogliandro frutto di analitiche ricerche storiche e letterarie. Il testo completo è raggiungibile al seguente link del sito www.piumazzo.com, sotto ne pubblichiamo un estratto.

http://www.piumazzo.com/phpbb3/viewtopic.php?f=7&t=1047&p=2583#p2583
"Chi è stato torturato rimane torturato. Chi ha subito il tormento non potrà più ambientarsi nel mondo, l'abominio dell'annullamento non si estingue mai. La fiducia nell'umanità, già incrinata dal primo schiaffo sul viso, demolito poi dalla tortura, non si riacquista più”.
- Da "I sommersi e i salvati" di Jean Amèry -

“Se vedevi il musulmano lo evitavi perché ti faceva temere che saresti diventato come lui, che forse lo stavi già diventando. Le SS sapevano che era così e te lo mettevano davanti apposta, per spezzarti ancora di più, per farti perdere la speranza.”
Il musulmano, l’ebreo che nei campi di concentramento aveva perso ogni forma di consapevolezza ed era diventato non-uomo, privo di volontà, di memoria, di dignità, di speranza, di forza fisica e mentale.
Il mondo del campo, disumano ed illogico, aveva azzerato la sua identità, il suo essere unico ed originale ed egli, per non smarrirsi continuamente dentro l’attimo, per non dare all’angoscia e allo sgomento la possibilità di ripresentarsi ulteriormente, per resistere anche diventando solo un fascio di funzioni fisiche in disfacimento, aveva staccato ogni contatto con la coscienza ed andava avanti senza sentire, senza vedere. Camminava chino, trascinando i piedi come i musulmani in preghiera, da cui il nome “musulmano”. Non girava la testa, non muoveva gli occhi. Se aveva fame, lo stimolo non raggiungeva il cervello, se lo colpivi, non si rendeva nemmeno più conto del perché.
La spaventosa condizione del musulmano era determinata da una "situazione estrema", al limite della sopportazione fisica e psichica, dove l'umano si trasforma in disumano e l'ebreo in musulmano.
La situazione estrema è uno stato d'eccezione, ma ad Auschwitz si rovescia in abitudine e diventa il paradigma stesso del quotidiano.
“Quell’essere inebetito e senza volontà, strascicando i suoi zoccoli di legno, andò a finire proprio nelle braccia di uno delle SS che gli urlò contro e gli diede un colpo di frusta in testa. Il musulmano si fermò, senza rendersi conto di quel che era accaduto, e quando ricevette un secondo e terzo colpo cominciò a farsela addosso. Allora la SS gli si scaraventò sopra e lo tempestò di calci. Il musulmano non si difendeva: al primo calcio si era piegato in due e dopo un altro paio di colpi era già morto.”
“Perché tanta crudeltà ed umiliazione, dal momento che li avreste uccisi comunque?” - chiese Gitta Sereny a Franz Stangl, ex comandante di Treblinka. “Per condizionare quelli che dovevano eseguire materialmente le operazioni. Per rendere possibile ciò che facevano!”.
La vittima, prima di morire, doveva essere degradata, in modo che l’uccisore non sentisse insorgere il senso di colpa: l’estremo soffrire, il sopportare quello che non si può sopportare, l’esaustione del possibile azzerava ogni forma di umanità.
Consultati: “Diario di Gusen” (A. Carpi), “Quel che resta di Auschwitz” (G. Agamben), “In quelle tenebre” (G. Sereny.)
Michela Cogliandro e Willer Comellini